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Sopravvivenza di clausole non riprodotte nel contratto definitivo di compravendita di partecipazioni sociali

Il contributo a cura dell’avv. Niccolò Medica e del dott. Niccolò Ballerini è stato pubblicato su N&T Plus Diritto – Il Sole 24Ore.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 662 dell’11 gennaio 2022, ha affrontato il tema della mancata riproduzione di una clausola inserita in un contratto preliminare di cessione di quote sociali nel successivo contratto definitivo.
Nel caso esaminato dal giudice di legittimità, nel contratto preliminare i contraenti prevedevano, oltre al successivo trasferimento della totalità delle quote del capitale sociale di una società, anche ulteriori obblighi accessori, tra i quali figurava anche un patto di non concorrenza, la cui violazione avrebbe comportato il pagamento di una penale a carico della parte inadempiente.
Le parti sottoscrivevano in una seconda fase il contratto definitivo, con il quale veniva regolata la cessione delle quote sociali. Tutti gli obblighi accessori previsti dal contratto preliminare venivano trascritti nel definitivo o in atti separati rispetto al rogito, con la sola eccezione del patto di non concorrenza (e relativa penale), che non veniva più menzionato.
Sorgeva quindi un contenzioso giudiziale tra le parti, nel corso del quale veniva chiesta la condanna dei soggetti ai quali veniva contestata una presunta violazione del patto di non concorrenza previsto dal contratto preliminare al pagamento della penale ivi prevista.
Il Tribunale di Macerata accoglieva la domanda degli attori, mentre la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, la rigettava, disponendo la restituzione delle somme versate in esecuzione della stessa.
Veniva così instaurato il giudizio di legittimità, all’esito del quale la Suprema Corte, richiamando un principio dalla stessa precedentemente enunciato, ha statuito che “l’omessa riproduzione nel contratto definitivo di cessione di quote sociali, di una clausola già inserita nel preliminare non comporta, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, che non resta assorbita ove sussistano elementi in senso contrario ricavabili dagli atti ovvero offerti dalle parti. Ne consegue che il giudice è tenuto ad indagare sulla concreta intenzione delle parti, tanto più che il negozio di cessione richiede la forma scritta solo al fine dell’opponibilità del trasferimento delle quote alla società e non per la validità o la prova dell’accordo, per cui occorre verificare se, con la nuova scrittura, le parti si siano limitate, o meno, solo a “formalizzare” la cessione nei confronti della società, senza riprodurre tutti gli impegni”.
La Corte di Cassazione, confermando la pronuncia della Corte d’Appello, ha basato la propria decisione sul fatto che il patto di non concorrenza e la relativa penale non erano stati riportati, a differenza degli altri obblighi accessori previsti nel preliminare, all’interno del contratto definitivo o in atti separati. L’unica pattuizione non riprodotta nel contratto definitivo risultava, infatti, solo quella relativa al patto di non concorrenza, alla quale doveva attribuirsi natura evidentemente accessoria alla cessione di quote sociali.
Tale circostanza risultava dunque idonea a dimostrare che l’omessa riproduzione, al momento del cessione delle quote, del solo patto di non concorrenza esprimesse la volontà delle parti di rinunciare a tale impegno.
La Suprema Corte ha infine affrontato il tema dell’applicabilità del divieto di concorrenza da parte dell’alienante dell’azienda, ai sensi dell’art 2257 cod. civ., al negozio di trasferimento di partecipazioni sociali, affermando che debba essere parificata “all’alienazione dell’azienda, specificamente prevista dalla norma, la cessione di quote sociali quando produca sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell’azienda sociale”.