Nota a cura di Niccolò Ballerini.
Con la sentenza 33976/2022, la IV sezione penale della Suprema Corte si è pronunciata nuovamente sul tema dei criteri di imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente in applicazione della normativa ex D.lgs. 231/2001. In particolare, la sentenza ha trattato la questione relativa alla possibile esclusione di responsabilità in capo all’ente in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, nonché della mera episodicità della violazione delle norme antinfortunistiche.
La sentenza prende le mosse da un caso di infortunio sul lavoro verificatosi ai danni di un dipendente stagionale dell’ente, il quale, scivolando durante l’attività di raccolta e lavorazione dell’uva, aveva inserito la mano all’interno di una vasca di raccolta dell’uva priva delle necessarie coperture di protezione, così riportando lesioni gravi. Da tali presupposti è discesa l’imputazione per il reato di lesioni colpose gravi, commesse in violazione della normativa antinfortunistica, in capo al presidente del consiglio di amministrazione oltre che l’addebito alla società dell’illecito amministrativo ex art. 25 septies, comma 3, D.lgs. 231/2001.
Con riferimento a detto reato presupposto, commesso da soggetto in condizione apicale, la Corte territoriale accertava la responsabilità dell’ente nonostante l’adozione di un modello organizzativo al quale tuttavia non corrispondevano sistemi di controllo idonei alla prevenzione dell’infortunio.
Il ricorso alla Suprema Corte si basava sul presupposto che la responsabilità dell’ente fosse stata erroneamente accertata in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea in assenza, secondo il ricorrente, della prova della natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche. Inoltre, l’ente rimarcava l’esiguità del vantaggio conseguito, ossia del risparmio derivante dalla mancata introduzione della copertura di protezione della vasca di raccolta dell’uva, il quale non avrebbe superato la somma di Euro 1.860,00 a fronte della maggior somma investita per l’adeguamento del complessivo sistema antinfortunistico (pari a circa 100.000 – 150.000 Euro).
La Suprema Corte, ponendosi in continuità con i recenti precedenti sul punto, ha tuttavia rimarcato che l’interesse dell’ente può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente.
Con riferimento alla particolare eseguità del risparmio dell’ente, la Corte di legittimità, ha invece richiamato un proprio precedente: “la responsabilità dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele finalizzate o comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi (Cass. pen. sez. IV, n. 24696 del 20/04/2016)”.
Ciò detto, la Suprema Corte sostiene che, al fine di impedire un’automatica applicazione della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsiasi misura di prevenzione, anche isolata, l’esiguità del risparmio può rilevare per escludere il profilo dell’interesse e/o del vantaggio e, di conseguenza, della responsabilità dell’ente, nel caso in cui la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza. Tuttavia, secondo la Corte è pur sempre necessario che “la violazione non insista su un’area di rischio di rilievo, perché diversamente risulta impraticabile sostenere l’assenza della colpa di organizzazione, rispetto ad una violazione di una regola cautelare essenziale per il buon funzionamento del sistema di sicurezza”.
Nel caso di specie, secondo il giudizio della Cassazione, la violazione della normativa antinfortunistica afferiva ad un’area di rischio inerente ad un settore di rilievo, derivandone dunque la rilevanza dell’addebito della colpa di organizzazione e la dimostrazione del collegamento oggettivo della condotta del reo e il vantaggio, pur patrimonialmente esiguo, dell’ente.