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QUANDO LA CONCESSIONE O IL MANTENIMENTO DEL FINANZIAMENTO DA PARTE DELLA BANCA POSSONO DIRSI “ABUSIVI”, CON RESPONSABILITÀ RISARCITORIA DELLA BANCA STESSA?

Contributo a cura dell’avv. Angela Currarini pubblicato su N&T Plus Diritto – Il Sole 24ORE. La Suprema Corte con la recente sentenza n. 24725 del 14 settembre 2021 traccia il confine tra finanziamento “meritevole” da parte di una banca a favore di un’impresa e finanziamento “abusivo”, integrante un illecito della banca finanziatrice che, conseguentemente, è tenuta a risponderne risarcendo il Fallimento dell’impresa finanziata, nel frattempo fallita, del pregiudizio arrecato all’impresa e alla massa dei creditori.

La prima sezione della Corte di Cassazione, riprendendo parola per parola il contenuto del proprio precedente n. 18610/2021, ricostruisce in maniera articolata e sistematica il tema della responsabilità delle banche per abusiva concessione di credito ed afferma l’illiceità della condotta della banca che contravvenendo, dolosamente o colposamente, agli specifici obblighi di comportamento cui è tenuta nell’esercizio del credito, eroghi o rinnovi o anche solo mantenga linee di credito ad un’impresa che non abbia un idoneo merito creditizio.

Viene al contrario considerato lecito il finanziamento erogato dalla banca ad un’impresa che, pur in una situazione di difficoltà economica-finanziaria, ed anche al di fuori di una procedura di risoluzione della crisi, presenti, secondo una valutazione sul rischio di credito da compiersi ex ante, ragionevoli prospettive di risanamento.


Come noto, la legge fallimentare disciplina la sola condotta dell’abusivo ricorso al credito, all’art. 218 l. fall., trasfuso nell’art. 325 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (destinato, parrebbe a seguito dell’ultimo rinvio, ad entrare in vigore il 16 maggio 2022 e, quanto alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, il 31 dicembre 2023): è prevista la sanzione penale per amministratori, direttori generali, liquidatori o imprenditori esercenti un’attività commerciale che ricorrano o continuino a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato d’insolvenza della società.

Nei confronti degli organi sociali il curatore può poi agire, ex art. 146 l. fall., per ottenere il risarcimento del danno arrecato; l’orientamento che va consolidandosi con la sentenza in esame, riconosce altresì al curatore la legittimazione ad agire nei confronti anche della banca, responsabile in solido per aver erogato o continuato ad erogare credito all’impresa violando i principi di sana e prudente gestione ed in assenza dei presupposti di merito creditizio.

Trattandosi di litisconsorzio facoltativo, il curatore può scegliere se agire nei confronti della sola banca o dei soli organi sociali (o di alcuni soltanto tra essi).

La sentenza ha il merito di esaminare approfonditamente i parametri in base ai quali deve essere valutata la condotta della banca: quest’ultima è tenuta a rispettare i principi di sana e corretta gestione come declinati dalle speciali disposizioni previste dall’ordinamento bancario che impongono procedure ben precise per la valutazione del rischio di credito al fine di verificare il merito creditizio dell’impresa richiedente, nell’ambito delle quali la banca può, ed anzi, deve, anche avvalersi dalle informazioni ricavabili dalla Centrale dei Rischi per conoscere l’esposizione debitoria dell’impresa richiedente, tenuto altresì conto del quadro normativo delineato dalla disciplina europea del settore bancario per la gestione armonizzata del rischio credito (in particolare con gli accordi di Basilea).

La Corte afferma l’importante principio per cui i doveri, le regole e i comportamenti imposti alla banca dalle normative che regolano il settore bancario costituiscono fonte di obblighi comportamentali a carico del “soggetto imprenditore bancario”, dalla cui violazione può derivare un danno non solo al mercato ma anche a ciascun soggetto impropriamente finanziato, del quale la banca è chiamata a rispondere.

La concessione abusiva di credito viene ascritta alla categoria della responsabilità da “contatto sociale qualificato”, fonte diretta di obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., riconducibile al particolare status di operatore professionale qualificato rivestito dalle banche; si tratta di responsabilità precontrattuale in ipotesi di concessione del finanziamento (la banca ha effettuato una contrattazione che non avrebbe dovuto intraprendere), di responsabilità contrattuale in ipotesi di mantenimento di finanziamento in corso (la banca ha mantenuto ingiustificatamente linee di credito che avrebbe dovuto sospendere o revocare).

Dalla concessione abusiva di credito deriva un danno direttamente alla società finanziata: il nuovo finanziamento, così come il mantenimento di quello in essere, non può infatti costituire un incremento patrimoniale per l’impresa, ma comporta un pregiudizio consistente nella diminuzione della consistenza del patrimonio sociale, per effetto degli interessi e degli altri oneri passivi derivanti dal finanziamento che gravano sull’impresa oltre, ovviamente, all’obbligo di restituzione del capitale.

Altro profilo di danno è rappresentato dall’aggravamento delle perdite cagionato dalla indebita protrazione dell’attività d’impresa dal momento che in una situazione patologica la liquidità ottenuta con il finanziamento molto difficilmente si rivela idonea al risanamento dell’impresa ma sovente viene utilizzata per pagare i debiti a breve, consentendo agli organi sociali di occultare ulteriormente il dissesto e causare ulteriore pregiudizio al patrimonio sociale: in una situazione di dissesto, la legge impone agli amministratori della società di attivare uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale (art. 2086 cod. civ. come riformato dal CCII) e di limitarsi ad una gestione meramente conservativa dell’integrità del patrimonio sociale (ex art. 2486 cod. civ.), al fine di contenere i danni e non compromettere ulteriormente il patrimonio sociale.

La concessione di nuovo credito favorisce la violazione da parte degli amministratori degli obblighi di cui sopra alimentando “l’artificioso mantenimento in vita” della società, e, pertanto, provoca un danno consistente nell’aggravamento del dissesto, con conseguente responsabilità risarcitoria delle banche e degli amministratori in solido tra loro.

La Suprema Corte riconosce invero l’importanza attribuita in linea di principio dall’ordinamento al ruolo delle banche nel sostegno alle imprese in crisi (ancora di più a seguito dell’emergenza da Covid-19) ed al riguardo sottolinea il favor dimostrato dal legislatore per il  finanziamento da parte delle banche alle imprese, attuato mediante diversi strumenti (esenzione da bancarotta, prededucibilità dei finanziamenti, moratoria dei crediti, finanza-ponte o interinale), specie nell’ambito di procedure di regolamentazione della crisi; tali strumenti, peraltro, sono giustificati a patto di essere inseriti in un contesto, secondo una valutazione ex ante fondata sul merito creditizio, di possibilità di risanamento dell’impresa, e ciò non solo nell’ambito procedimentalizzato e controllato degli istituti previsti dal legislatore per la soluzione della crisi d’impresa ma anche al di fuori di essi, ove sia comunque percorribile il superamento della crisi secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile.

Il curatore può agire nei confronti della banca per abusiva concessione del credito non solo per i danni diretti cagionati al patrimonio della società fallita (quale successore nei diritti della stessa ex art. 43 l. fall.) ma anche, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per i danni indiretti subiti dalla massa dei creditori pregiudicati dall’aggravamento del dissesto e della conseguente diminuzione complessiva della consistenza del patrimonio derivante dalla protrazione dell’attività dell’impresa, da cui deriva la riduzione delle possibilità di soddisfacimento della massa dei creditori concorrenti: il risarcimento dalla banca che ha illecitamente concesso o mantenuto in essere il finanziamento consente, infatti, di reintegrare il patrimonio sociale a vantaggio di tutti i creditori concorrenti.

Peraltro, la responsabilità risarcitoria della banca nei confronti del Fallimento per abusiva concessione di credito non impedisce che la stessa banca possa insinuarsi al passivo per la restituzione delle somme finanziate e non restituite, potendo coesistere in capo allo stesso soggetto la qualità di debitore e creditore del Fallimento (come sovente accade nei rapporti tra Fallimento e banche, in primis per effetto dell’esperimento di azioni revocatorie).

La sentenza ritiene poi che gravi sul curatore l’onere di provare: (i) la condotta illecita della banca che deve essere, come detto, caratterizzata da dolo o quantomeno colpa; (ii) il danno (costituito sia dalla prosecuzione dell’attività di impresa in perdita sia dall’aggravamento del dissesto); (iii) il nesso di causalità tra condotta e danno.

Ove la società illecitamente finanziata abbia contribuito tramite il comportamento dei propri amministratori alla produzione del danno, ad esempio reiterando la richiesta di finanziamento in assenza di merito creditizio, il risarcimento posto a carico della banca dovrebbe essere diminuito ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., in misura pari al quantum del danno causato dalla condotta della società stessa; ciò, peraltro, solo ove il curatore agisse per i danni diretti alla società, ma non nel caso, più frequente, in cui agisca per conto della massa dei creditori a reintegrazione del patrimonio da destinare al soddisfacimento di tale massa, facendo il curatore valere, in questo caso, l’interesse di un terzo (il ceto creditorio) rispetto alla società finanziata, con conseguente inopponibilità della condotta illecita di quest’ultima.