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La Cassazione torna ad esprimersi su eleggibilità e permanenza in carica dell’amministratore fallito nelle srl

Contributo a cura dell’avv. Niccolò Medica pubblicato su N&T Plus Diritto – Il Sole 24ORE.

L’art. 2382 cod. civ. stabilisce che il “fallito” non possa essere nominato amministratore di una società per azioni e che, ove nominato, decada dal suo ufficio.

A differenza di quanto avviene per le società per azioni, la disciplina delle società a responsabilità limitata, a seguito della novella del 2003 (D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), non regola le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori.

Nel corso degli anni si è aperto un dibattito, a livello dottrinale e giurisprudenziale, in merito alla possibilità di estendere l’applicabilità dell’art. 2382 cod. civ. anche alle società a responsabilità limitata.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza dell’8 agosto 2013, n. 18904, ha precisato che “la disciplina delle società a responsabilità limitata, a seguito della novella di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, non regolamenta le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori, sicché, riguardo ad essi, non trovano più applicazione, neppure per analogia, le norme dettate, per la società per azioni, dall’art. 2382 cod. civ., con la conseguenza che – salva diversa previsione statutaria – il fallimento dell’amministratore di società a responsabilità limitata non ne determina l’incapacità alla carica sociale“.

Quindi, secondo tale pronuncia, le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori nelle società a responsabilità limitata non sono disciplinate dall’art. 2382 cod. civ., ma sono rimesse all’autonomia statutaria riconosciuta a tale tipologia di società.

Dello stesso avviso parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale “il fallimento dell’amministratore di società a responsabilità limitata non determina la sua incapacità alla carica sociale, non essendo applicabile, nei confronti dell’amministratore di società a responsabilità limitata, la previsione dettata dall’art. 2382 cod. civ. con riguardo all’amministratore di società per azioni” (in tal senso, Tribunale Vicenza, sez. II, 7 agosto 2020).

Di diverso avviso, invece, il Tribunale di Roma, il quale, da ultimo in data 23 gennaio 2018, giunge alla conclusione che l’amministratore di una società a responsabilità limitata, dichiarato fallito, decada dalla carica.

Il tribunale capitolino ritiene infatti che la disciplina dell’art. 2382 cod. civ. sia diretta a tutelare “non solo i soci, ma anche i creditori e i terzi che vengono in contatto con la società”: conseguentemente, la difesa del patrimonio sociale richiede, anche nelle società a responsabilità limitata, l’assenza, in capo agli amministratori, di situazioni “idonee a incidere negativamente sulla capacità e onorabilità di coloro ai quali è affidata la funzione gestoria“.

Non solo: secondo il Tribunale di Roma, nei rapporti interni tra amministratore e società non esistono, tra le due tipologie di società di capitali in esame, differenze che possano giustificare due diverse discipline; l’art. 2382 cod. civ. contiene quindi un principio di portata generale.

Sul punto si è nuovamente – e recentemente – espressa la Prima Sezione della Corte di Cassazione con sentenza del 16 settembre 2021, n. 25050: la Suprema Corte ha sì ribadito le conclusioni fatte proprie dalla Terza Sezione con la sentenza dell’8 agosto 2013, n. 18904, ma ha anche dettagliatamente motivato la propria decisione.

Secondo la Corte di Cassazione, vero è che il legislatore della riforma del 2003 non ha regolamentato le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori della società a responsabilità limitata, ma neppure ha disposto al riguardo un rinvio alle norme dettate dall’art. 2382 cod. civ. per la società per azioni, previsto dal previgente art. 2487 cod. civ..

Conseguentemente, “per quanto criptico possa apparire il silenzio tenuto dal legislatore in proposito (ma non si deve dimenticare che molte volte i silenzi del legislatore della riforma della s.r.l. esprimono l’indicazione di lasciare “mano aperta” all’autonomia statutaria), nel detto transito sembra corretto leggere, comunque, una volontà legislativa intesa a non ricalcare più – di certo a non ripeterlo in modo pedissequo, in ogni caso – lo schema normativo adottato per la s.p.a.”.

Non è stata condivisa neppure l’osservazione secondo la quale l’ineleggibilità e la decadenza del fallito dalla carica di amministratore di società a responsabilità limitata risponderebbe all’avvertita necessità di tutelare i soggetti terzi (in tal modo, di fatto, ponendosi in contrasto con l’orientamento fatto proprio dal Tribunale di Roma): anzi, la Corte di Cassazione ha espressamente evidenziato che “è notazione di comune esperienza (…) che la circostanza di «non essere falliti» non comporta alcuna sicurezza di capienza patrimoniale dell’amministratore che eventualmente violi i doveri connessi all’espletamento dell’incarico commessogli“, che “la capacità (e responsabilità ex art. 2740 cod. civ.) del fallito rimane intatta se non altro per i beni che risultano non ricompresi nel fallimento” e, soprattutto, che “al fallito non è vietato intraprendere da solo lo svolgimento di nuove attività imprenditoriali, come in più occasioni è stato rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte“.

La Suprema Corte non condivide neppure l’assunto secondo il quale l’applicazione estensiva dell’art. 2382 cod. civ. alle società a responsabilità limitata sarebbe giustificata da ragioni di “coerenza del sistema societario“: del resto, con la riforma del 2003, il rapporto tra i due tipi societari è mutato, in quanto la disciplina della società a responsabilità limitata “muove nella direzione di una integrale revisione” del relativo modello, intendendo “offrire agli operatori economici uno strumento caratterizzato da una significativa e accentuata elasticità e che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito delle piccole e medie imprese“.

Quindi, secondo la Corte di Cassazione, le differenze tra il modello della società per azioni e quello della società a responsabilità limitata giustificano una diversa disciplina in ordine alle cause di ineleggibilità e decadenza dei soggetti tenuti ad amministrarle.

In conclusione, secondo il più recente pronunciamento della Corte di Cassazione, anche colui che sia stato dichiarato fallito può, nelle società a responsabilità limitata, essere eletto e permanere nella carica di amministratore, salvo – ovviamente – diverse previsioni statutarie che, vista l’elasticità concessa alle società a responsabilità limitata, sono senz’altro consentite.