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Abuso di posizione dominante: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea detta i criteri per inquadrare la condotta elusiva della concorrenza

Con sentenza pronunciata in data 12 maggio 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato i criteri per individuare la condotta abusiva tenuta da una determinata impresa posta in posizione dominante, ai sensi di quanto previsto dall’art. 102 TFUE.

In particolare, nel maggio 2020, il Consiglio di Stato Italiano, chiamato a sindacare sulla condotta tenuta da un operatore storico nel contesto della liberalizzazione del mercato elettrico, ha chiesto alla Suprema Corte dell’Unione Europea, tramite rinvio pregiudiziale, alcuni chiarimenti in merito all’interpretazione e all’applicazione dell’art. 102 TFUE in materia di sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno e, di conseguenza, alla corretta individuazione di tali condotte.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dunque, cogliendo l’occasione fornita alla medesima, ha compiuto una puntuale ed esaustiva disamina della materia in questione, statuendo importanti regole e principi interpretativi che troveranno senza dubbio applicazione e seguito non solamente in Italia.

Ed infatti, il supremo organo giudiziario dell’Unione Europea ha rilevato, in primo luogo, che costituisce condotta abusiva della concorrenza di un’impresa posta in posizione dominante sul mercato interno (o su una parte sostanziale di questo) ogni pratica di per sé idonea a pregiudicare una struttura di effettiva concorrenza, posta in essere ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli in cui si impernia una concorrenza normale basata sui meriti, senza che occorra che tale pratica abbia, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori.

Resta in ogni caso salva la possibilità dell’impresa dominante, per sottrarsi al divieto di cui all’art. 102 TFUE, di dimostrare che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica in questione è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità e di innovazione.

In altri termini, il criterio per individuare la condotta abusiva di un’impresa dominante è da individuarsi unicamente nella capacità e idoneità della pratica adottata dalla citata impresa di produrrre effetti anticoncorrenziali anche solo astratti, non occorrendo, peraltro, che il risultato atteso di un simile comportamento diretto a escludere i concorrenti dal mercato in questione venga raggiunto e senza che rilevi lo specifico intento proprio dell’impresa medesima.

Continua, dunque, la Corte osservando che sussiste una violazione dell’unica concorrenza lecita, ossia basata sui meriti, ogniqualvota un’impresa in posizione dominante adotta una pratica per soprassedere i concorrenti che non possa essere tenuta in modalità analoge anche da un ipotetico concorrente altrettanto efficiente sul mercato in questione; da ciò consegue, peraltro, che l’impresa che perde il monopolio legale debba astenersi, durante tutta la fase di liberalizzazione del mercato in questione, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del suo precedente monopolio, e dunque non disponibili a tutti i concorrenti della stessa, al fine di conservare illegittimamente una posizione dominante sul mercato in questione recentemente liberalizzato, salvo che la medesima impresa non dimostri che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica in questione sia, anche in questo caso, controbilanciato, se non superato, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori.

Infine, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si esprime sull’ipotesi in cui la posizione dominante sia sfruttata in modo abusivo da una o più società “figlie” appartenenti ad un’unità economica: in tal caso – che si presume quando almeno la quasi totalità del capitale di tali società “figlie” sia detenuta dalla società “madre” – anche quest’ultima società va considerata d’ufficio responsabile dell’abuso posto in essere dalle società “figlie”, salva l’ipotesi in cui la stessa dimostri che le società “figlie” hanno agito autonomamente.